Nel decennale del terremoto dell'Aquila, in ricordo delle vittime e nel racconto di altri accadimenti.
l-aquila.jpg
Le parole che seguiranno sono quelle che, rifacendomi ai Simboli Massonici di Acqua, Aria, Fuoco e Terra, traslai dalla mia anima alla penna per un evento Massonico in quel periodo:

"Quei freschi pomeriggi d’estate passati sulle rive dell’Aterno, quando la mente correva dietro sogni ancora non realizzati, in un’aura di speranza non celata da lunghi discorsi con gli amici. Si costruiva allora il tempio della vita, dove i mattoni erano i risultati quotidiani delle nostre esperienze, il cemento, l’entusiasmo di una giovinezza piena, ancor fatta di sensazioni , collante di una mente in evoluzione. L’acqua del fiume, limpida, ancora incontaminata dai veleni che nel tempo si sarebbero in essa versati, sembrava giocare con la terra della riva formando vortici cristallini dai quali spuntavano giunchiglie sbarazzine, verdi come la nostra età; e da esse all’improvviso un turbinio di ali di farfalle che sembravano uscire dall’acqua e passando per un attimo sulla terra, dirigersi verso il cielo dove un’aria tersa le accoglieva, quasi come una madre fa con i propri figli. E quell’aria scendeva giù sulla terra sollevandola nelle parti più piccole facendole poi ricadere nell’acqua creando giochi di increspature come rosoni di chiese; e in questa magica atmosfera (quando il sole pacatamente calava dietro i monti) compariva il fuoco del rosso tramonto, tra le nuvole, che si univa alla fiamma del fuoco che accendevamo per suggellare il vincolo della nostra spensierata esistenza continuando intorno ad esso a parlare, a gioire, a costruire la nostra anima, la nostra essenza.

Acqua aria terra fuoco che ci hanno accompagnato nella nostra maturità, consolidando le nostre radici con le sorsate di acqua alla fonte di via Marrelli, acqua fresca, che gioia; con la terra sotto le suole delle scarpe nelle nostre passeggiate per il castello, terra bruna, che gioia; con l’aria che si infiltrava tra le strette stradine storiche fino alla mia colonna dei portici, aria amica, che gioia; con i fuochi che a San Giovanni si alzavano da tutti i rioni della città, fuoco vivido, che gioia. Che bello il tempio di questa esistenza! 

Sono le 3 e 32 ..... Il pendolo dell’orologio dell’ingresso si è fermato quasi a presagire l’evento più drammatico dell’esistenza di tanti. A passi incerti cammino nel buio, tutte le luci sono spente; il silenzio irreale riempie per un attimo la mia mente; poi il piede si incunea in una fenditura …. Torna la luce: la terra si è spaccata, è stata ferita; il suo colore scuro sembra il sangue già coagulato su di un cuore dilaniato; terra madre, che dolore. Alzo la testa per respirare profondamente, quasi per esorcizzare con l’aria il terrore ancestrale del momento; ma quello zefiro di una volta è diventato acre, di una composizione palpabile: è la polvere dei muri sbriciolati che mi penetra la trachea fin giù nei polmoni e lì si deposita togliendomi il fiato; l’aria pura della montagna si è fusa ad essa precipitando in basso per il peso della tristezza; aria di vita, che dolore. Poi in lontananza un bagliore, un fuoco; forse degli uomini lo hanno acceso per scaldarsi, confortarsi e rigettare la paura subita; mi avvicino ma non c’è nessuno, solo silenzio e il crepitio di una fiamma che esce da una finestra di una casa, probabilmente per una scintilla di un cavo elettrico caduta su un mobile di legno; urla di gente che si allontana con le fiamme che si alzano minacciose fino ad espandersi per tutta la casa. E’ un fuoco di morte, di distruzione. Fuoco purificatore, che dolore. Alzo ancora gli occhi al cielo: è sereno, non c’è una nuvola e l’aria è secca, non c’è una goccia di rugiada; il fiume è lontano, manca il quarto elemento e il compito non è assolto, ma….. a ben pensare e cercare di acqua ce n’è, tanta: sono le lacrime che sgorgano copiose da occhi attoniti e si uniscono in un fiume tumultuoso per cercare di lavare dall’anima la disperazione. Acqua sorgiva, che dolore. Acqua aria terra fuoco ancora presenti ma in un tempio che non c’è più……

La vita continua, anche se non per tutti; il tempo scolora i ricordi, anche se non per tutti, come un quadro di tempera sotto la pioggia. Ho trovato, quale pellegrino della mia esistenza, tranquillità e pace allontanandomi dalle mie radici in un paese ospitale non lontano , pieno di gente benevolente e operosa. Sono passati un po’ di anni da quella gioventù spensierata e la schiena si è piegata sotto il loro peso, ma lo spirito è sempre quello, propositivo, determinato, ricercatore ed eccomi qua, con l’alchimia che pervade la mia anima, a descrivere ancora i quattro elementi che hanno pervaso la mia vita: ora è semplice. Mi siedo sulla spiaggia, all’alba; è una nuova terra, soffice, gradevole, che mi permette il suo contatto a piedi nudi, per stringermi di più ad essa, terra amica; davanti a me il mare, con le sue increspature e la dolce nenia delle sue onde sul bagnasciuga e in quell’acqua mi bagno per avvolgermi in essa nel più intimo abbraccio, acqua amica; poi alzo la testa e chiudo gli occhi: la brezza che colpisce il mio viso, pura, vitale è l’espressione più nobile dell’aria benevola che riempie il mio essere in una meditazione salutare, aria amica. Sarebbe scontato ora parlare del fuoco del sole all’orizzonte, ma sono ad est, e qui raramente assume il colore rubino come fa ad occidente; sono ad oriente, e chi è del mestiere comprende la sua importanza, e allora il fuoco è quello che dirompe quasi come una tempesta solare, dal cuore dei Fratelli Massoni sparsi sulla superficie della terra, che hanno fatto sì che aria terra acqua e fuoco, metafore di un evento, continuino la loro danza nella mia vita."

Il riportare questo mio scritto nella sua interezza mi è parso un giusto tributo alle numerose vittime di quel triste evento; non è retorica perchè dopo 10 anni nulla si è cancellato o mitigato; e ancora vivo esule dalla terra natia. Ma la speranza di ripercorrere quegli attimi e quei luoghi della gioventù aumenta sempre di più, come la "voglia di tornare a casa": non è possibile strappare le radici dall'anima.
Al terremoto del 6 aprile 2009 se ne è aggiunto un altro, di una potenza devastante, non voluto dalla natura ma dall'uomo, e ancor peggio da uomini che professano un ideale che disattendono in modo continuativo e che ha fatto si che Massoni Liberi e di Buoni Costumi lottassero per i propri principi come all'inizio della storia massonica, cercandosi e riunendosi in nome della Libertà, dell'Uguaglianza e della Fratellanza; aggiungerei senza tema di smentita anche dell'onestà e della capacità di non apparire, nel lavoro di servizio per i propri Fratelli e per l'umanità.

A sopravvivere anche a questo secondo terremoto mi è venuto in aiuto il simbolismo. C'è l'acqua che, sotto forma di sudore, trasuda dalla fronte dei Fratelli impegnati anche fisicamente alla costruzione della Grande Opera. C'è l'aria fresca di verità consolidate ma anche nuove, che lenisce il senso di soffocamento della sopraffazione morale e spirituale, che pulisce i nostri polmoni da quella polvere arida di ego ipertrofici. C'è il fuoco antico e nuovo dei nostri bracieri, delle nostre candele e di quella fiamma interiore dei nostri cuori che si è vivificata in modo prorompente nella ricerca di una vera luce, scevra da profanità che non albergano in noi. Ed infine c'è anche la terra, per tutti la superficie del mondo, ma che per noi si identifica con quella scura, lavica, che riveste il suolo partenopeo, con tutti i suoi profumi e i suoi colori e che noi possiamo calpestare con gioia grazie al nostro Gran Maestro, il Fratello Sergio Ciannella, a cui va tutta la mia gratitudine.
E' proprio vero: non è possibile strappare le radici dall'anima.

Ennio Gizzi