di Daniele Cerboni

monticelloamiata.jpgPer comprendere la mia passione nei confronti dei simboli vi racconto una breve storia della mia vita. Vivo per scelta in un borgo medievale toscano stupendo che si chiama Monticello Amiata dal 1260; prima era menzionato come Montepinzutolo. Gironzolando per le vie del borgo mi sono trovato a contatto con simboli incisi nelle pietre. Ho cominciato chiedermi perché un fiore della vita era stato inciso sulle mura del vecchio spedale o perché una croce uncinata del XII secolo (?) distingueva quella determinata casa, o un piccolo fiore della vita molto stilizzato fosse posto sullo stipite della porta del paese. Le raffigurazioni simboliche hanno acceso la mia fantasia e la mia curiosità, che non risulta del tutto appagata. Questa genera in me il desiderio di interpretare una raffigurazione oltre il suo significato grafico, per entrare in contatto con il suo significato intimo. Questo mio lambiccarsi il cervello, che mi spinge a percorrere il cammino della conoscenza dei simboli, mi ha indotto a bussare alla porta del Tempio in età non certo giovanile. Adesso mi sento come a scuola e sto imparando. Mi rendo però conto che occorre tempo e la strada della conoscenza spesso è in salita. La mia maggiore difficoltà la trovo nell’esercizio del libero pensiero, che deve essere esercitato nel rispetto delle regole e del metodo. Le quali regole devono essere osservate strettamente da tutti coloro che amano fregiarsi dell' appellativo di “Massone”, indipendentemente dai gradi e dalle qualità.

La storia di Monticello Amiata.

Il Re longobardo Liutprando nell’epoca del suo regno (712/736) dette l’impulso alla costruzione di strade che, tramite il rafforzamento e lo sfruttamento di tratti dell’antica viabilità romana, mirava a realizzare una strada che avrebbe messo in comunicazione il centro con il nord Italia, in concorrenza con la strada bizantina che univa l’esarcato a Roma attraverso la via Flaminia e con i tracciati dell’Aurelia, che gli eventi naturali e militari avevano reso poco affidabili.
È in questo contesto che viene costruita la strata Francigena o Romea, la più importante arteria stradale della penisola e dell’Impero. L’abbazia di San Salvatore nasce in un periodo ignoto fra i regni di Ratchis e Astolfo per garantire la sicurezza del passaggio tra le valli del Paglia e del Formone.

A San Salvatore vennero concesse per volere imperiale due grandi aziende agricole curtensi demaniali nell’Amiata occidentale, Monticlu e Mustia, rispettivamente nelle aree di Montelaterone/ Montepinzutolo e Montenero. Si trattava di grandi fondi con insediamenti sparsi, non fortificati. In essi l’Abbazia si inserì con la fondazione di celle, veri e propri cenobi di piccole dimensioni e chiese rurali, le quali erano, oltretutto, veri e propri centri amministrativi.

Una di queste celle, la più antica dell’Amiata occidentale, era intitolata a Santo Stefano con un cellerario che amministrava i beni dell’Abbazia del Santo Salvatore. Fu costruita nel Campo Stefano presso l’attuale Agriturismo delle Pianore. Nel medioevo i pellegrini erano costretti a deviare verso la Francigena per arrivare a Roma in sicurezza. L'antica strada del sale, che conduceva dalle saline grossetane attraverso la via Cupa fino ad Istia per poi proseguire per Campagnatico e i Paganico, subiva all'altezza del paese di Campagnatico una deviazione che attraverso Cinigiano, Montepinzutolo, Montelaterone, Pieve della Lamula arrivava fino al sacro monte dell’Abbazia del Santo Salvatore e si immetteva nella via Francigena. Tale strada poteva identificarsi con la via di San Michele visti i numerosi santuari dedicati a lui (Paganico, Sasso d’Ombrone Cinigiano, Monticello Amiata, Santa Fiora, Abbadia San Salvatore). La Pieve della Lamula sita alla confluenza fra la viabilità principale, proveniente da Chiusi, la via Francigena proveniente da S. Antimo (Nord Est), e l'arteria proveniente da sud est attraverso Campagnatico, divenne importante per l'attività economica, talché nell'anno 892divenne sede del più importante emporio commerciale della montagna: il Mercato Sabatino (Sabbatinicum), unica piazza mercantile dell’Amiata medievale. Il mercato venne concesso dall’Imperatore Guido su richiesta degli abati dell’abbazia del Santo Salvatore dell’Amiata. Qui, ogni sabato mattina, si ripeteva una liturgia consumata in cui i messi del conte Ildebrandino VII, ed in seguito i suoi eredi, accompagnati dai messi dell’abate, regolavano il traf?co di mercanti e acquirenti, riscuotevano i dazi e sedevano in giudizio.

La costruzione del Castello di Montepintuzolo era conseguenza dell' importanza di un luogo sito alla confluenza di vie di comunicazione importanti divenuto sede di attività economica. Il Repetti lo menziona come costruzione nell’860 anche se l’Abate Fatteschi lo menziona come tale nel 797.

Nel 915, con diploma dell' 8 dicembre l’Imperatore Berengario I, confermò Il possesso da parte dell'Abbadia del Santo Salvatore della cella di S. Stefano a Montepinzutolo, poi chiamato Monticello.

Montepinzutolo data la sua importanza strategica era dominato dai monaci di San Salvatore ma anche i conti palatini della famiglia degli Aldobrandechi e i Senesi strizzavano gli occhi alla piccola comunità, la quale per cause ancora del tutto non note nel 1240 fu attaccata. il castello in tale occasione fu incendiato e distrutto completamente. Gli uomini di Montepinzutolo chiesero ed ottennero dagli abati dell’abbazia del Monte Amiata di ricostruirlo su un colle adiacente a quello su cui sorgeva la costruzione originale. Ottennero inoltre la esenzione per sei anni dai dazi e tre dai terratici. Fra il 1240 e il 1260 fu ricostruito il castello e per una ventina di anni il paese fu chiamato con il doppio nome Montepinzutolo/Monticello fino a diventare solamente Monticello.

Lo statuto della comunità risale al 1261 fu compilato da un notaio per conto dell'abate e da tre rappresentanti del castello. Con questo atto gli uomini di Montepinzutolo riconoscevano la giurisdizione del Monastero su Monticello, che peraltro fu sempre abbastanza leggera, cosa che permise una certa autonomia. Alla fine del secolo, gli abitanti di Monticello riuscirono a costruire il palazzo Pretorio, simbolo della loro autonomia, che si accrebbe con alcune concessioni avute dal Monastero come quella di disporre della piena proprietà dei loro beni, con il diritto quindi di testare a favore di eredi e di compra-vendita. Un fatto storico interessante si svolge nella guerra imperiale condotta in toscana da Pandolfo di Fasanella, inviato da Federico II, contro la famiglia palatina degli aldobrandeschi. Costoro si erano alleati con la chiesa tradendo la fiducia imperiale. Pandolfo di Fasanella per riprendere le sostanziose finanze spese in tale guerra impone tasse a tutte le popolazioni riconquistate compreso Montepinzutolo. Pandolfo, che dapprima governò la contea con il titolo di vicario in Toscana, fu solerte nell’appropriarsi dei beni e dei proventi di Guglielmo (?). Sosteneva infatti che i beni di cui si impossessava, erano divenuti di proprietà imperiale per effetto del tradimento consumato. Ripetute lamentele e rimostranze dell’abate di S. Salvatore Manfredi inoltrate alla volta dell'imperatore Federico II, indussero questi a reintegrare l'Abbazia dei beni in precedenza sottratti. Nel gennaio 1243 l’imperatore scrisse al vicario ordinandogli di non imporre censi agli uomini di Montepinzutolo, come aveva fatto Guglielmo, e di rispettare l’esenzione del monastero dalle contribuzioni.
“si veda le quattro lettere edite in HUILLARD BRÉHOLLES, Historia, VI/1, pp. 76ss, a.1243 gen. 12 riguardanti: a) la conferma dei diritti del monastero; b) l’ordine a Pandolfo di interrompere le esazioni a Montepinzutolo; c) la conferma dei diritti monastici su Valentina; d) l’esenzione dell’ente dalle contribuzioni dovute al vicario.”

Nel 1340 Papa Urbano IV scomunica Monticello stante il rifiuto dei suoi abitanti di pagare doppio censo (all'abate amiatino ed alla Repubblica Senese).In teoria, gli effetti di quella scomunica sono ancora validi, poiché essa non è stata mai rimessa.

L’attuale paese di Monticello ha nel suo interno vari simboli e stemmi di famiglie nobiliari senesi. Sono evidenti in Via Grande che attraversa il borgo da porta a porta due fiori della vita inscritti in un cerchio di sei petali, raffigurati assieme ad una croce di probabile origine giovannita. Proseguendo verso la piazza principale del paese troviamo raffigurata   una svastica con i bracci rivolti a sinistra, ben diversa quindi da quella usata dai nazisti. Nella parte superiore dell'abitazione ove è incisa la svastica è disegnata una greca a forma di dente di sega. Più avanti troviamo una bellissima croce greca, che si differenzia da quella dei Cavalieri di Malta, poiché munita di un ardiglione nella parte inferiore. Nelle adiacenze, a distanza di qualche fabbricato, è possibile ammirare una croce più antica con i bracci a coda di rondine.

Che Monticello sia stata sede dei Templari è difficile da comprovare per carenza di documentazione storica, ma di certo vi sono famiglie della zona che hanno intrattenuto relazione con l'Ordine del Tempio. Nella piazza principale si trova la casa museo nel palazzo che nel 1700 e fine 1800 ha ospitato il tribunale successivamente trasferito ad Arcidosso. La esistenza dell'edificio già adibito a tribunale risulta da atti del 1190 circa, allorché gli uomini del rinnovato paese manifestarono la loro libertà con la trascrizione di uno statuto (1161) e si dotarono di palazzo pretorio.

Una menzione particolare merita la grande cisterna di raccolta dell'acqua piovana dei tetti. L'acqua come testimoniano i pozzi di decantazione ad essa collegati era probabilmente pura. La cisterna di piazza si aggiungeva alle cisterne di cui tutte le case erano dotate. È probabile che essa servisse da peschiera (il pesce era un alimento molto apprezzato nel Medio Evo). Altra ipotesi probabile è che l'acqua della cisterna potesse essere in uso dei numerosi pellegrini di passaggio. Di certo la cisterna poteva all'epoca rendere più confortevole il viaggio di chi si recava al mercato della Lamula, oppure era in transito per raggiungere la via Francigena.

Nella piazza principale si ammira la chiesa parrocchiale, prepositura di San Michele Arcangelo santo molto venerato fra i Longobardi e poi anche dai Templari. La facciata della chiesa è stata rinnovata nel 1820 circa. Il corpo della costruzione risale al 1260, ed è stato edificato dopo la distruzione costruita dopo la distruzione di Montepinzuto (1240). Attestano la sua vetustà origine una grande abside ottagonale ed alte mura che la rendono simile ad una fortezza.   Due dipinti abbastanza preziosi uno di scuola senese l’altro di pittori locali seicenteschi, ed una pregevolissima del 1300 abbelliscono la chiesa. Sono scolpite sull'acquasantiera figure alle quali non si riesce ad attribuire un significato; pertanto esse appaiono misteriose ai miei occhi. Usciti dalla chiesa proseguendo per via del campanile si arriva alla porta fortificata con una torre cilindrica, una delle poche sopravvissute, almeno in zona. Sulle mura di una casa adiacente alla porta possiamo ammirare un’altra croce molto vecchia con ardiglione e bracci a coda di rondine. Sul portale della stessa casa è scolpito piccolo fiore della vita molto stilizzato.

Se percorriamo la via detta del Diacceto, a metà di essa ci imbattiamo in un pentagono con all'interno una rosa canina. Questo simbolo può essere associato a molte corporazioni e la rosa canina a molte religioni. Proseguendo sulla stessa via troviamo quella che per me è la più bella raffigurazione simbolica di Monticello e dell’Amiata: un bellissimo fiore della vita che per le popolazioni montane significava fortuna e protezione. È probabile che chi lo ha scolpito volesse significare conoscenze segrete ed iniziatiche. Il fiore della vita infatti nasconde al suo intermo il numero d’oro, ovvero il segreto del mastri scalpellini per la costruzione dei propri templi. Vicino a questo simbolo anticamente c’era l’ospedale di San Michele Arcangelo. Questo ospedale nel medioevo aveva la funzione di ospitare i pellegrini e dopo ha avuto anche una funzione sanitaria tanto che pagava le decime all’ospedale di Castel del Piano. Normalmente nel medioevo questi ospizi si trovavano fuori della cinta muraria dei borghi. Nel nostro caso invece caso si trovava all’interno e i pellegrini accedevano ad esso passando attraverso uno stretto vicolo, presidiato da armigeri, e da una torre ora sfortunatamente persa, dal passaggio talmente stretto ed angusto che poteva sfilarvi una sola persona alla volta. Nello stesso vicolo prima di giungere alla fine del paese troviamo su un muro molto in alto un altro fiore della vita, una stella a sei braccia sormontata da un fregio purtroppo non riconoscibile, ma che i popolani identificano con una rosetta.

Interesse suscitano anche gli stemmi araldici delle famiglie nobiliari, che si facevano rappresentare per lo più da animali reali o mitologici ( leone, grifoni, serpente con le spire che avvolgono una lancia), ed in un caso, da una mano che reca un mazzolin di fiori.

Avrei bussato alla porta del Tempio se non avessi avuto la ventura di vivere in un posto ricco di raffigurazioni simboliche che hanno attirato la mia attenzione, già mentre ero profano? L'interrogativo è retorico e la risposta non è importante. Importante invece è la mia iniziazione e la possibilità che mi offre la possibilità di osservare con occhio diverso ciò che mi ha da sempre attratto, ed in definitiva di migliorare me stesso con nuove conoscenze.

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