di Sergio Ciannella


La pandemia da coronavirus, quasi un flagello biblico che ha colpito l’Umanità del Terzo Millennio, ha fermato il tempo riportandolo dalla frenetica dimensione soggettiva cui siamo abituati, ai lenti ritmi della Natura dai quali ci siamo allontanati.

Costretti a fermarci per rispettare le giuste precauzioni contro la diffusione della infezione, privati delle occupazioni quotidiane che procurano fatica ma anche distrazione, ci guardiamo intorno attoniti, spaesati, senza scopo.

Ci domandiamo allora che senso abbia tutto questo e riflettiamo sulla fragilità della nostra esistenza, che può essere stravolta da un momento all’altro ad opera di un nemico invisibile. Consideriamo anche i limiti della scienza che, per quanto straordinariamente evoluta, di fronte ad eventi nuovi e sconosciuti è completamente disarmata.

Il metodo razionale che siamo abituati ad utilizzare per risolvere ogni nostro problema, non ci consente peraltro di dare una spiegazione alle alterazioni dell’equilibrio fisio-psichico che chiamiamo malattia, tantomeno quando questo squilibrio colpisce non un solo individuo, ma tutta la specie umana. Eppure la catena di consequenzialità di cause ed effetti che lega i fenomeni della Natura farebbe supporre che all’origine di questi accadimenti ci possa essere qualche ragione sconosciuta.

La scienza moderna, fondata sulla sperimentazione, non ci può dare risposta, ma nemmeno ascolto e considerazione.

Ci ha provato lo psicoterapeuta tedesco Thorwald Dethlefsen, che nelle sue opere ha cercato di spiegare che la malattia è il riflesso di uno squilibrio interiore e nello stesso tempo un monito a rivedere la propria vita e a cambiare rotta, ma è stato deriso dalla scienza ufficiale. Eppure le sue teorie non sono campate in aria, traggono fondamento dallo studio di quella che viene definita “scienza sacra”, perché si occupa di principi universali, archetipi che appartengono ad una sfera superiore alla comprensione logica, raggiungibile solo attraverso uno sforzo di conoscenza intuitiva. Realtà questa che non potrà mai essere sperimentata in laboratorio, ma che tuttavia esiste e non può essere negata solo perché sfugge al controllo sensoriale.

D’altra parte, se il nostro cervello è dotato di un emisfero destro deputato a percepire ciò che va oltre la logica, non si vede perché non debba essere utilizzato appieno e si attribuisca solo a quello sinistro, presidio di razionalità, la prerogativa di riconoscere le verità.

Dal conflitto tra queste due facoltà umane nasce l’opposizione spirito e materia, fede e ragione, logica e irrazionalità, laddove da una loro integrazione potrebbero nascere inaspettate aperture mentali.

E allora perché scartare a priori le teorie di Dethlefsen, prive di riscontro scientifico ma capaci di farci scoprire verità inedite?

Il rifiuto dipende dal fatto che l’uomo contemporaneo non ha più gli strumenti intellettuali per poter interpretare la realtà in chiave simbolica ed è caduto pertanto nel vuoto di una esistenza priva di significato perché mancano rimedi e risposte ai mali che affliggono l’Umanità.

Ecco allora che un evento come la pandemia fa crollare improvvisamente le effimere certezze e rinnova la paura ancestrale che da sempre ha assalito l’uomo quando si è visto esposto a pericoli ignoti.

Invece, come la malattia che ci offre una opportunità di riflessione su noi stessi e su ciò che di sbagliato vi è nel nostro vivere, un evento globale che colpisce la popolazione planetaria può essere considerato un segno da interpretare e una occasione per riflettere sugli errori che l’Umanità del terzo Millennio, ancora non ravveduta dalle esperienze passate, compie allontanandosi dal percorso evolutivo conforme ai suoi destini.

Lo scatenarsi di una infezione collettiva, così improvvisa e devastante, deve avere un perché, che non bisogna cercare nel fantasioso attentato di un potere mondiale o nell’opera punitiva di un Demiurgo. Trova piuttosto motivazione nella capacità autoeducativa della stessa specie umana che, alla stessa stregua dell’individuo ammalato che denuncia a sé stesso attraverso la patologia uno squilibirio interiore, è costretta a fermarsi a riflettere sui valori smarriti di umanità, altruismo, consapevolezza, responsabilità, condivisione, senza i quali la vita è priva di senso.
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