di Paolo Izzo

Di recente ha fatto discreto rumore sul web una esternazione del padre della teoria delle stringhe, il fisico teorico statunitense Michio Kaku, il quale sostiene di aver elaborato "una teoria che potrebbe comprovare l'esistenza di Dio". Naturalmente la questione non è così semplice come l'ha voluta interpretare buona parte dell'opinione pubblica, sia perché la forma con cui è avvenuta l'esternazione ha in parte il sapore di una boutade - voluta dall'eminente studioso, noto anche per le sue capacità di divulgatore, congiunte a una buona dose di eccentricità - sia perché l'idea che l'uomo della strada ha del concetto divino ha davvero poco a che vedere con quella ventilata da Kaku, il quale - e ciò è stato da più parti specificato - ha inteso riferirsi a qualcosa che ha a che vedere con l'ordine universale del Creato, in quanto improntato alla matematica. Ma andiamo nei particolari, per coloro che non ne sono ancora a conoscenza: tutto nasce dalla osservazione - resa possibile da recenti conquiste scientifiche - del comportamento della materia a livello subatomico. In particolare di alcune particelle assimilabili al Tachione, "ipotetica particella" in grado di muoversi a velocità superiori a quella della luce. In pratica si tratta di materia pura completamente svincolata dalle forze che agiscono nell'universo che la circonda.

Osservando la materia, il Fisico giunge alla conclusione che tutto il resto del creato (i Tachioni, che ne sono esclusi, assumono per questo una connotazione unica) è sottoposto a leggi per esso inderogabili, stabilite da una sorta di entità superiore (negli articoli on-line si parla anche di "Grande Architetto") la cui esistenza sarebbe comprovata da questa materia svincolata dai limiti propri alla materia stessa. Materia, appunto, "divina". Da qui a concepire che l'uomo - calato nel contesto materiale per così dire "normale" - vive in una sorta di "bolla" isolata e controllata dal divino, il passo è breve. L'essere umano, con il resto della materia "non divina" vivrebbe in una sorta di "Matrix", un mondo soggetto a regole imposte dall'esterno. L'intuizione, per la verità, somiglia in modo inquietante a quella filosofico-letteraria, esposta nella nota poesia del visionario Jorge Luis Borges Ajedrez (Scacchi), che invitiamo tutti a rileggere con attenzione. A questo punto sorge l'urgenza di coniugare uno dei tre principii universali (che chiunque frequenti il Tempio ha ben presenti), con questa nuova, destabilizzante ipotesi. I concetti di Libertà, Autodeterminazione, Libero arbitrio e in definitiva quello di Libero Pensiero, come sono coniugabili con una simile ipotetica, nuova situazione? Se la libertà è solo un'illusione, che senso ha tutto il lavoro - fin qui instancabile - che ha informato l'alterius non sit qui suus esse potest? Bisogna dunque rinunziare alla ricerca della liberazione interiore, del libero pensiero, nella coscienza che è tutta un'illusione e che mai sarà possibile eludere i meccanismi disposti da questo tirannico fattore "divino"? A pensarci bene molto di quanto stiamo esponendo - almeno sul versante delle possibili reazioni di parte umana - ha a che vedere con la ragione e con l'esercizio di tale facoltà, teso a individuare possibili soluzioni. Credo si possa tranquillamente riconoscere che l'aspetto razionale dell'essere umano è soltanto parziale: di fronte a situazioni ed eventi da decifrare, è comprensibile che si cerchi di ricondurre tutto a categorie logiche in nostro possesso, le quali potrebbero rivelarsi invece del tutto fuorvianti ai fini di una corretta interpretazione del fenomeno. Per comprenderci, nel ricercare l'etimologia di una parola, saremo portati a ricondurla al latino o al greco, a noi noti per reminiscenze scolastiche. Magari però, la radice del lemma è da ricercarsi in un ambito indoiranico che a noi sfugge, o nel Sanscrito...

Nello stabilire la dicotomia Io-Ego, la Psicanalisi (per quanto non-scienza) è chiara. Se noi siamo in grado di riconoscerci razionalmente e individuarci rispetto a canoni ben definiti (estetici, morali, temporali, sociali, spaziali...) è indubbio che abbiamo in noi dell'altro. Il contatto diretto con l'Inconscio collettivo junghiano ha argomentazioni fondanti in una letteratura troppo vasta perché valga la pena di parlarne ancora e difatti non lo faremo, se non per trarne argomenti di riflessione. Credo sia condivisibile l'idea che nell'essere umano coesiste "il Tutto" e, come corollario, anche "una parte del tutto". Il Visita interiora terrae invita proprio ad esplorare la parte ctonia della nostra psiche. Il mito di Arianna, del Labirinto e del Minotauro è un invito palese ad affrontare aspetti del nostro profondo che ci atterriscono. La consapevolezza è la via della salvezza. Le funzioni dell'Amigdala, nel corpo umano, sono preordinate alla salvaguardia della specie: la ghiandola - centro della Paura - ci consente di porci all'erta in presenza di supposti pericoli, almeno fino a consentirci di valutare e comprendere se siamo realmente in presenza di fattori o situazioni che potrebbero mettere a rischio la nostra permanenza in vita. Acquisita tale coscienza, si deciderà se e quali contromisure adottare per sfuggire tale pericolo. Non si fa dunque altro che attingere all'Inconscio, ascrivendo le relative "conquiste" alla sfera razionale e cosciente. Se il diaframma tra Io ed Ego venisse meno, verrebbe meno la distinzione tra il particolare e il Tutto. E vista la limitatezza in atto e l'assolutezza solo "in potenza" della dimensione umana, con un simile frangente cesserebbe l'Individualità, che finirebbe con lo stemperarsi nel Tutto, il che equivale - poiché gli opposti si toccano - nel Nulla.

Intendiamoci: l'inconscio è risorsa primaria e imprescindibile cui attingere, ma il senno, il nostro senno, deve restare chiuso nell'ampolla, come la materia prima in cozione deve restare sigillata nel microcosmo della cucurbita. Astolfo va sì sulla luna a recuperare il Senno di Orlando, ma quello è e deve rimanere chiuso nella famosa ampolla! Guai a infrangerla! Tutto sarebbe perduto!

L'idea che l'attingere all'Universale, presente nel profondo di ciascuno di noi, possa costituire la garanzia della Libertà individuale, dovrà comunque e alla fine sempre fare i conti con l'ipotesi-Matrix, in cui sia noi che ogni nostra possibile manifestazione potremmo essere irrimediabilmente rinchiusi. Ma se c'è una sola possibilità che la sfera di cristallo che ci imprigiona venga infranta, questa passa attraverso il punto di individuazione tra il Noi e il Tutto. I grandi geni sono visionari; i grandi passi in avanti della scienza stessa attingono a idee folli (o meglio lontane dalla libera comprensione della ragione umana). È vero però che - come nelle gerarchie celesti ventilate da Kaku - la matematica è in grado di ridurre a realtà quella che sembra follia. Così è stato a suo tempo per l'intuizione a base della Teoria della Relatività: spazio e tempo come elementi in contrazione attorno a un oggetto in movimento. E pure, anche allora la matematica ha dimostrato che una simile, inaudita follia era possibile realtà! L'inconscio è il rifugio dalla ragione che non basta a se stessa, è speranza - a volte anche caparbia volontà - che qualcos'altro esista, al di là della ristretta e deludente realtà. E le chiavi per forzare i limiti si chiamano intuizione, illuminazione, decodificazione dei simboli, elusione delle difese razionali. Se mai qualcuno avrà la capacità di forzare un simile perverso meccanismo da videogame "Matrix", sarà allora sicuramente da ricercare tra coloro che, in catena d'unione, evocano con forza i tre pilastri del pensiero, primo tra tutti, la LIBERTA'.

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