di Sergio Ciannella

La civiltà occidentale attuale è il risultato di una lunga elaborazione che, attraverso il contributo di giusnaturalisti, filosofi, illuministi e dopo aver vinto la resistenza delle forze conservatrici, è riuscita ad affermare nella società moderna dei principi-cardine riconosciuti come patrimonio di tutti. Ciò ha reso necessario attribuire ai cittadini alcuni diritti fondamentali, che si distinguono dagli altri diritti per la loro rilevanza e perché sostenuti da un sentimento generale di approvazione del quale deve tener conto ogni Stato che si definisca democratico. Tra questi il diritto di associazione, che permette di esprimere e realizzare il carattere socievole dell’essere umano, ovvero la propensione ad unirsi ai propri simili, condividendo finalità e regole liberamente scelte e accettate.

In Italia questo diritto è sancito dall’art. 18 della Costituzione che recita:  ”I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”.

La rilevanza di questo diritto è dimostrata dal fatto che rientra tra i principi fondamentali della Costituzione descritti dai primi dodici articoli, in particolare nell’art. 2 che contiene la seguente solenne dichiarazione: ”La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.

Le motivazioni che spingono l’essere umano a unirsi ai propri simili sono di diversa natura, ma alla base vi è sempre un interesse da condividere e la disponibilità a sacrificare una parte della libertà per potersi adeguare alle regole che ogni associazione sceglie di darsi.

Le principali forme di aggregazione si manifestano in ambito politico e religioso, dove si raccolgono aspirazioni umane primarie e il bisogno di condividerle. Una terza motivazione, fondata sull’ interesse comunedel lavoro, si è affermata, prima sotto forma di Corporazioni di mestiere, la cui esigenza era quella di custodire e trasmettere i segreti dell’Arte, in seguito, con l’avvento della Rivoluzione industriale, come movimento sindacale finalizzato alla tutela dei lavoratori.

Tre aspetti dell’associazionismo, a ciascuno dei quali la Costituzione riserva una speciale tutela che integra e attua la generica enunciazione dell’art. 18.

Massima attenzione viene anzitutto accordata all’ambito religioso, in ossequio al Concordato tra Stato e Chiesa Cattolica del 1929 aggiornato nel 1984, attraverso l’art. 20 della Costituzione che, riproponendo il contenuto dell’art. 7 dei Patti Lateranensi, afferma che il carattere ecclesiastico e il fine religioso o di culto d’una associazione non può subire limitazioni legislative. Per le confessione religiose diverse da quella cattolica, è previsto dall’art.8 della Costituzione il diritto di organizzarsi, secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

Libertà di associazione è poi sancita espressamente per la formazione sia dei partiti politici (art. 48 Cost.), sia dei sindacati (art. 39).

Un’area residuale è occupata da associazioni di ogni altro tipo, che possono essere costituite per gli scopi più disparati, con il limite fissato dal secondo comma dell’art. 18, che proibisce le associazioni segrete.

In quest’area si colloca la più importante forma di associazionismo su basi laiche, la Massoneria, continuatrice delle unioni di liberi pensatori, che per storia, diffusione e organizzazione viene definita a giusto titolo “istituzione”. Malgrado la sua rilevanza, questo fenomeno associativo, che non può essere riferito a qualsiasi organizzazione su base esoterica ma solo a quella nata in Inghilterra il 24 giugno 1717 sotto forma di Gran Loggia Unita di Londra, a differenza delle altre forme associative carattere religioso, politico e sindacale, non ha ottenuto la giusta considerazione da parte dell’Assemblea Costituente. Pur essendo stata al centro del dibattito sull’art. 18, la Massoneria è stata relegata nell’ambito generico delle associazioni prive di particolare qualificazione in bilico tra il diritto garantito dal primo comma e il divieto del secondo comma a causa della sua natura riservata. E’ stato così rimesso al legislatore e all’interprete il compito di stabilire se tale riservatezza costituisca impedimento per i massoni all’esercizio della libertà di associarsi garantita a tutti i cittadini.

La scelta di non voler definire né i contenuti del diritto di associazione né la nozione di associazione segreta, ha dato origine ad un rapporto problematico tra Stato e Massoneria, di semplice tolleranza interrotta da periodici attacchi da parte di interpreti tendenziosi che vorrebbero sfruttare questa incerteezza per sostenere che la Massoneria ha i connotati dell’associazione segreta ed è quindi fuori legge.

La diffidenza verso la Massoneria non è una novità, rientra nella logica di conservazione del potere costituito, che vede nell’aggregazione di liberi pensatori un potenziale nemico perché capace, nella sua indipendenza, di sottoporre a critica e contestare comandi contrari agli interessi degli amministrati. Ed invero, pur rispettosi delle leggi e dell’autorità legittima, i massoni fanno della propria libertà un principio-cardine irrinunciabile e antepongono ad ogni forma di omologazione il primato della propria coscienza. Quanto basta a renderli potenzialmente pericolosi e sospettabili, se, com’è avvenuto in passato, le loro idee si pongono in contrasto con la logica di potere e la volontà di imporre un pensiero unico.

Ciò spiega perché sia impossibile regolamentare le associazioni senza tener conto della Massoneria, che occupa gran parte di questo settore e perché la Costituzione Repubblicana, frutto del compromesso tra forze politiche contrapposte, non ha voluto o potuto sciogliere questo nodo.

Per una migliore comprensione del complesso problema appare utile delineare il percorso storico-giuridico attraverso il quale si è pervenuti in Italia alriconoscimento del diritto di associazione.

In premessa va operato un distinguo tra diritto e libertà di associazione. Le due espressioni spesso vengono usate indistintamente nei testi normativi, ma in realtà hanno un valore diverso, pur essendo complementari: mentre la libertà esprime la misura in cui il potere statuale è disposto a concedere ai cittadini la facoltà di associarsi senza preventiva autorizzazione, il diritto rappresenta il passo successivo, ovvero la possibilità concreta del cittadino di avvalersene. Rappresenta quindi il riconoscimento, in positivo, di prerogative che per poter essere esercitate appieno, richiedono attuazione mediante norme di attuazione.

In Italia la prima disposizione favorevole all’aggregazione sociale compare nello Statuto Albertino del 4 marzo 1848 che nella enunciazione dell’art. 32, concedeva “Il diritto di adunarsi pacificamente e senza armi, uniformandosi alle leggi che possano regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa pubblica”.

Per quanto rilevante in quel contesto storico, che vedeva gli Stati europei dominati dal potere assoluto delle Monarchie, il diritto di riunirsi rappresentava soltanto il presupposto per costituire formazioni sociali autonome, autorizzate. Esigenza questa, fortemente avvertita nell’ambiente operaio con l’avvento dell’Era industriale.

Dopo l’Unità d’Italia si sviluppa infatti un esteso fenomeno associativo di lavoratori, che si riuniscono in Società Operaie di Mutuo Soccorso, per costituire, in assenza di interventi da parte dello Stato, forme di previdenza su base solidaristica, autogestite.

Alla fine del XIX Secolo vengono censite in Italia ben 6722 società di questo tipo che pochi anni dopo, con la nascita dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai, non avranno più ragione di esistere, pur continuando a rappresentare un modello indicativo del potere dell’unione, che sarà in seguito raccolto dal movimento sindacale.

Malgrado l’assenza di regole sulle associazioni, nel periodo storico post-unitario si assiste ad un proliferare di logge massoniche, a conferma che il Paese era ancora dominato dallo spirito laico artefice del Risorgimento italiano e della fine del potere temporale della Chiesa con la conquista di Roma eletta a capitale. D’altro canto lo stato di arretratezza di sudditi di vari Stati, ritrovatisi improvvisamente un solo popolo riunito nel Regno d’Italia, richiedeva la guida di una classe dirigente capace di dare attuazione concreta al progetto di unificazione. Era quindi naturale che il compito fosse affidato in primis ai protagonisti del cambiamento, quei liberi pensatori, in gran parte massoni, che avevano dato attuazione agli ideali patriottici maturati all’ombra del trinomio Libertà-Uguaglianza-Fratellanza presente in tutte le logge. Non a caso il governo, il Parlamento e le altre istituzioni, almeno fino all’avvento del regime fascista erano dominati da una impronta laico-massonica alla quale si contrapponeva unicamente il movimento politico d’ispirazione cattolica.

Si afferma così una presenza rilevante della Massoneria nel processo di formazione e sviluppo del nuovo Stato, anche se ben presto emergeranno al suo interno due diversi indirizzi che porteranno alla scissione del 1908: da un lato l’anima pragmatica, favorevole all’affermazione di un movimento organizzato quasi come un partito in grado di partecipare attivamente alle scelte politiche del Paese, dall’altro quello tradizionalista, sostenitrice del primato della libertà individuale e dei principi fondativi della Massoneria.

Le due tendenze si fronteggeranno nello scontro parlamentare sull’insegnamento della religione nelle scuole all’origine della divisione della Massoneria italiana in due tronchi: il Sovrano Gran Commendatore Saverio Fera, interprete della linea più ortodossa sostenuta dal Rito Scozzese e difensore della libertà di coscienza dei parlamentari ai quali si pretendeva di imporre il voto contrario, si staccherà infatti dall’Ordine per dar vita, in seguito, alla Massoneria d’impronta liberale denominata di “Piazza del Gesù”, che ancor oggi conserva il carattere speculativo dei Gradi più elevati della Massoneria, che la distinguono da una visione pratica e mutualistica acquisita dal Grande Oriente d’Italia.

La tolleranza verso la Massoneria non dura a lungo. Incompatibile, come si è detto, con qualunque forma di assolutismo, sia politico che religioso, comincia ad essere bersagliata dai più accaniti sostenitori del fascismo i quali, con il tacito consenso del capo del governo, negli anni ’20 danno corso ad una vera e propria azione persecutoria fatta di violenze fisiche e devastazioni.

Tutto ciò prelude l’atto finale, ovvero la legge sulle associazioni segrete del 26 novembre 1925 n.2029, che di fatto mette al bando la Massoneria e segna l’inizio della dittatura.

Il relatore Bodrero dichiarerà in Aula :”E’ il primo atto veramente conforme allo spirito del nostro movimento”.

Mussolini, d’altra parte, per giustificare l’azione repressiva voluta dal regime aveva affermato: “ Una delle forme più odiose e moralmente ripugnante è la pretesa di sottrarsi al controllo degli altri”; e ancora: “Uno dei maggiori pericoli delle associazioni operanti in modo clandestino ed occulto è il loro diffondersi tra i pubblici impiegati e persino tra i magistrati e gli ufficiali”.

Affermazioni queste, che trovano ancor oggi eco nelle posizioni dichiaratamente antimassoniche di alcuni politici, che hanno dato luogo a discriminazioni, come il divieto ai massoni di far parte del governo, e a progetti di legge che prevedono addirittura l’eliminazione della Massoneria, come già avvenuto durante il ventennio fascista.

La legge, che ottenne 298 voti a favore e solo 4 contrari, pur non citando apertamente la parola “Massoneria” aveva come bersaglio proprio questa Istituzione, che di fatto veniva banditamediante lo stretto controllo da parte dell’Autorità di Pubblica Sicurezza e dell’obbligo per magistrati, militari, pubblici impiegati, di dichiarare l’appartenenza ad associazioni clandestine o occulte che vincolano al segreto. Per i trasgressori erano previste sanzioni penali e il licenziamento.

Il risultato voluto dal regime è garantito; difatti di lì a poco il Gran Maestro Torrigiani decreterà lo scioglimento di tutte le logge. Commenta lo storico Aldo Mola:” La Massoneria che al Gianicolo era stata ringraziata dal Re e dal Capo del Governo per l’azione patriottica svolta durante la grande guerra, veniva bandita come associazione segreta”.

E’ importante notare che la presunzione di pericolosità delle associazioni segrete e della necessità di contrastarle nasce proprio dall’antimassonismo fascista e che questa idea, ripresa dallo stesso art.18 della Costituzione, è divenuta, per i nemici della Massoneria, strumento e pretesto per porre divieti.

Tutt’altra storia e situazione ha vissuto la vicina Francia, che la Massoneria italiana liberale ha sempre considerato termine di paragone.

In origine le associazioni erano contrastate, forse più di quanto avvenisse in Italia.

Diversamente da quanto si possa pensare, la Rivoluzione francese non incoraggiava la libertà di associazione, al contrario la ostacolava non ritenendola utile al progetto di riforma del rapporto tra Stato e cittadini. Ispirata alla teoria del contratto sociale elaborata da Rousseau, che valorizzava il rapporto diretto tra il singolo membro della collettività e il sistema di governo, gli ideologi del cambiamento ritenevano infatti che l’associazionismo potesse rappresentare una sgradita interferenza in questo rapporto e un ostacolo alla partecipazione diretta del cittadino alle vicende della cosa pubblica. Il Tribunale rivoluzionario condannerà infatti sia i clubs giacobini sia le logge massoniche, disconoscendo così gli stessi centri nei quali si era formata la matrice ideologica della Rivoluzione.

Nel corso del XIX Secolo continua l’ostruzionismo verso il fenomeno associativo attraverso divieti sanzionati anche penalmente. Ma presto prevarrà, sotto una spinta sociale inarrestabile, l’interesse dei francesi verso forme di aggregazione riconosciute e si svilupperà un intenso dibattito, che alla fine premierà l’istanza dei cittadini, dando luogo alla legge del 1° luglio 1901, norma esemplare, per modernità e garantismo, tuttora in vigore.

In pochi semplici ma essenziali tratti, la legge delinea con chiarezza la nozione giuridica di associazione, definendola come contratto stipulato per mettere in comune conoscenze e attività per fini non lucrativi. Accorda quindi ai cittadini la libertà di formarle senza autorizzazione, prevedendo il massimo della semplificazione: con una semplice segnalazione alla Prefettura si ottiene l’iscrizione dell’associazione nel Giornale Ufficiale. Con questo unico adempimento l’associazione acquista personalità giuridica e diviene soggetto di diritti.

La legge non fa nessun accenno alla segretezza né pone divieti alle associazioni segrete. Quelle che intendono mantenere la riservatezza e decidono di non richiedere l’iscrizione non vanno incontro ad alcuna proibizione, sono soltanto prive dei vantaggi attribuiti alle associazioni registrate.

In realtà nella legge è completamente assente il concetto di divieto, quasi a dimostrazione che si tratta di un ambito nel quale lo Stato non può e non vuole interferire: è prevista soltanto la nullità delle associazioni con scopi illeciti, contrarie alla legge, ai buoni costumi o che attentino alla integrità del territorio nazionale o alla forma repubblicana. Nessuna sanzione, quindi, ma la semplice perdita del carattere di associazione.

Tornando in Italia, dopo la dittatura fascista e la fine del conflitto mondiale nel quale fu trascinato il Paese, in un clima di riconquistata libertà e democrazia, un’Assemblea Costituente mise mano ai principi fondamentali del nuovo Stato Repubblicano. Quanto alle associazioni si trattava di restituire ai cittadini la libertà negata dalla legge del 1925, ma sullo sfondo vi era sempre la Massoneria, che per prima si sarebbe avvalsa di una normativa favorevole alle associazioni ed avrebbe acquistato così piena legittimazione.

Il serrato dibattito sviluppatosi sull’argomento in seno all’Assemblea, è la prova evidente di questa implicazione e dimostra nello stesso tempo che il problema dei costituenti era quello di contemperare il riconoscimento di un diritto fondamentale, che non poteva continuare ad essere negato ai cittadini, con i limiti e i divieti con i quali la maggioranza avrebbe voluto sbarrare il passo alla Massoneria.

L’esigua presenza laica, rappresentata da liberali e repubblicani, non era infatti in grado di contrastare l’antimassonismo di cattolici e comunisti, notoriamente ostili e contrari a concedere spazio alle logge.

Per risolvere la non facile questione, nella elaborazione della norma regolatrice delle associazioni venne così recuperata, come contrappeso a una libertà senza controllo, l’idea di segretezza e quindi il disvalore delle associazioni a carattere riservato, come la Massoneria.

A dimostrazione dell’intento di recuperare e riproporre questa subdola e strumentale “invenzione” del regime fascista, Palmiro Togliatti, capo dei comunisti e membro autorevole dell’Assemblea Costituente, si faceva sostenitore della tesi che “in regime democratico ogni associazione deve vivere alla luce del sole”.

Da questo difficile contemperamento sortiva una norma di compromesso, l’art. 18, che solo in apparenza favorisce le associazioni, ma in realtà lascia del tutto insoddisfatte le aspettative di superamento del precedente regime.

Il paradosso è che mentre lo Stato accetta nella Costituzione le associazioni, nella legge contraddittoriamente le rifiuta non riconoscendole!

Il primo comma enuncia il diritto dei cittadini di associarsi liberamente. Manca però una definizione di associazione come nella legge francese del 1901 e soprattutto manca la normativa di riferimento che avrebbe dovuto dare concreta attuazione a questa mera dichiarazione di principio: un diritto privo di contenuti è un non diritto! Per la Massoneria, che non gode dei privilegi riservati alle associazione a carattere politico e religioso, la legge applicabile, in mancanza di norme specifiche, restava e resta quella in vigore prima della Costituzione, ovvero il codice civile del 1942 che riserva alle poche associazioni sopravvissute alla legge del 1925edefinite “non riconosciute”, una posizione del tutto marginale e nei tre articoli ad esse dedicati, (artt. 36,37 e 38) si preoccupa essenzialmente di stabilire chi debba rispondere delle obbligazioni assunte.

Il secondo comma, in continuità con la legge del 1925, proibisce le associazioni segrete, ma anche qui, a conferma che l’Assemblea non aveva raggiunto un accordo sulle sorti della Massoneria, non precisa cosa debba intendersi per segretezza limitandosi a sancire un divieto generico, i cui contenuti i limiti sono affidati ad una libera interpretazione.

La mancata attuazione dell’art. 18 perdura tuttora, anche se il diritto di associazione nell’immediato dopoguerra trovò ampio spazio nelle dichiarazioni dei principali organismi internazionali. Nel 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite inserì nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani l’art. 20 che recita: “ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica”. Gli fece eco la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950, che al primo comma ripropone la stessa enunciazione, precisando al secondo comma:” L’esercizio di questi diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

Nessun divieto di segretezza, quindi, nei proclami internazionali, nessun obbligo di trasparenza imposto alle associazioni.

In Italia, l’isolata iniziativa di porre il limite generico posto dal 2° comma dell’art. 18 della Costituzione ha creato, com’era prevedibile, gravi ostacoli al libero esercizio dell’associazionismo massonico, in quanto il segreto del metodo esoterico, praticato dai massoni, viene sovente scambiato per volontà di nascondersi e costituisce facile pretesto per dubitare della legalità di questo fenomeno di aggregazione. Ciò ha costretto la Massoneria a vivere ai margini della Società, appena tollerata e quindi ostacolata nel suo obiettivo fondamentale di portare beneficio alla collettività.

Per i primi trent’anni dalla Costituzione, fin quando cioè non balza agli “onori” della cronaca a causa dello scandalo della loggia P2, la Massoneria resta nell’ombra, non per libera scelta, ma perché discriminata dalle forze politiche e religiose che dirigono le sorti del Paese.

La ripresa non era stata facile, si era tentato addirittura di abolirla per decreto, con un disegno di legge elaborato negli ambienti della Università del Sacro Cuore, che sarà fermato dal capo del governo, Alcide De Gasperi, preoccupato di perdere, con questo atto illiberale, il sostegno dei Paesi democratici dell’area occidentale, di cui l’Italia aveva tanto bisogno.

E’ documentato (Transactions del Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico e Accettato Giurisdizione Sud – Washington per l’anno 1949, pagg. 111-113, 119) che la Massoneria americana aveva chiesto al governo italiano spiegazioni sul divieto delle società segrete contenuto nella Costituzione e, insoddisfatta dell’assicurazione che non si sarebbe fatta guerra alla Massoneria, avrebbe ottenuto da De Gasperi un più preciso chiarimento sulla portata del divieto: si dovevano considerare segrete quelle società che nascondono la propria esistenza, le loro sedi, i loro scopi, e sono contrarie ai comuni principi della morale e dell’ordine sociale.

Solo con queste garanzie –per la verità minime- nel 1949 si risvegliarono le due più importanti componenti della Massoneria liberale, la Serenissima Gran Loggia Nazionale Italiana degli A.L.A.M. e il Supremo Consiglio d’Italia del Rito Scozzese Antico e Accettato.

La mancata attuazione dell’art. 18 ha lasciato di fatto in sospeso il diritto di associazione, che si ferma alla mera enunciazione della libertà di unirsi per uno scopo comune, ma in pratica non offre alcun vantaggio ai cittadini che intendono avvalersene.

L’ambito delle associazioni non riconosciute nel quale questo diritto è stato confinato in mancanza di norme attuative, non conferisce infatti nessuna rilevanza giuridica, il che è nella logica delle cose poiché nel 1942, anno di approvazione del codice civile, era ancora in vigore la legge restrittiva sulle associazioni del 1925.

Ma la conseguenza più grave è il caos che ha prodotto questa situazione: si è venuta a determinare una zona d’ombra, socialmente irrilevante, nella quale a chiunque è concesso di esercitare il diritto di cui all’art. 18 della Costituzione, per gli scopi più banali come per i più rilevanti, ma nessuna associazione gode del sostegno pubblico che avrebbe dovuto favorire queste iniziative.

La Massoneria soffre doppiamente per questa assenza di regole. Da una lato le viene negato di assumere il ruolo benefico che dovrebbe e vorrebbe svolgere nella Società, dall’altro è costretta a subire la proliferazione di associazioni che si definiscono massoniche, ma poco o nulla hanno della tradizione muratòria e talvolta utilizzano la Massoneria come copertura di tutt’altra natura e comunque svolgono attività che rappresentano la negazione dei suoi principi.

L’esempio più inquietante è dato dalla infiltrazione della criminalità organizzata che, come riporta obiettivamente Frank Sammeth in un articolo apparso sulla Rivista “La Chaine d’Union” del Grande Oriente di Francia (n.85 di luglio 2018) tra gli anni ’70 e ’80 dello scorso secolo, mise in atto il progetto di sfruttare le logge per creare utili collegamenti con la società civile ed operare indisturbata sotto il falso pretesto di un’attività massonica di fatto inesistente.

Altri raggruppamenti, che si dichiarano Massoneria o sono definiti tali, non hanno alcun titolo per essere così identificate in quanto distanti dalla tradizione muratòria, come nel caso di società dedite all’occultismo o alla gestione del potere economico.

Nello stesso ambiente più strettamente massonico, nel quale si possono includere le logge che rispondono ai requisiti fissati nel 1962 dall’Unione di Strasburgo fra 11 Potenze Massoniche d’Europa, fondatrice del CLIPSAS, la carenza normativa in materia di associazioni ha prodotto danni all’immagine ed al prestigio della Massoneria italiana.

Chiunque è libero di costituire un’associazione e di chiamarla Massoneria. Quindi, se all’epoca del risveglio delle logge, diverse Comunioni si contesero la legittimazione, rivendicando la continuità con quelle esistenti prima del 1925, in seguito nulla frenò il proliferare indiscriminato di nuove Obbedienze, che attualmente hanno raggiunto il numero ragguardevole di 120, secondo stime approssimative, senza tener conto della miriade di logge indipendenti denominate “logge di S.Giovanni”. Ciò impedisce di esprimere un indirizzo univoco che possa rappresentare la Massoneria presso le Istituzioni e rendersi riconoscibile nella Società per testimonianza dei principi di Libertà-Uguaglianza-Fratellanza affermati da grandi protagonisti del progresso umano e da tanti onesti cittadini negli ultimi tre Secoli.

In un Paese inospitale per la Massoneria, gli stessi massoni hanno purtroppo contribuito al discredito dell’antica e nobile Associazione, facendo scoppiare negli anni ’80 uno scandalo epocale, l’affare della loggia P2, che ne ha fortemente compromesso la credibilità.

Tutto nasce nel clima politico dei cosiddetti “anni di piombo”. Erano gli anni ’70 e lo Stato italiano attraversava fase di particolare debolezza, destabilizzato dagli atti terroristici di frange armate estremiste, che nel 1978 ebbero il tragico epilogo nel sequestro e uccisione del personaggio politico più influente, Aldo Moro, che si era fatto promotore di un’alleanza tra forze cattoliche e comuniste.

Reso evidentemente audace dalla instabilità del potere e dalla generale istanza di cambiamento, un massone iscritto al Grande Oriente d’Italia, Licio Gelli, ambiguo personaggio con trascorsi nella politica e nei servizi segreti, concepisce un “piano di rinascita”, al quale avrebbero dovuto collaborare personalità influenti raccolti dalla Massoneria per imprimere una svolta autoritaria alla Società.

Con il beneplacito dei Gran Maestri, probabilmente all’oscuro di questo progetto del tutto estranee agli scopi della Massoneria, ma comunque interessati a reclutare personaggi influenti, Gelli si mette a capo della loggia P2, una delle più antiche e prestigiose del Grande Oriente d’Italia e, con l’allettamento del potere, riesce a iscrivere più di mille esponenti della classe dirigente tra politici, militari, giornalisti, imprenditori, etc.

La manovra eversiva viene però ben presto scoperta e scatena una tempesta mediatica, sia per la obiettiva gravità dei fatti, sia per il coinvolgimento di nomi di spicco.

La reazione delle Istituzioni è immediata a va oltre la portata dello scandalo, che viene ingigantito quasi a voler distogliere l’attenzione della opinione pubblica dai ben più gravi problemi di instabilità politica.

Il Parlamento nomina una Commissione di inchiesta presieduta dall’On.le Tina Anselmi per accertare le responsabilità di Gelli e della Massoneria. Le tradizionali forze antimassoniche colgono l’occasione per condannare, senza distinzioni, l’intero mondo latomistico e per demonizzare la segretezza. Vengono nominati tre Saggi con il compito di valutare l’opportunità di bandire le associazioni segrete al fine di scongiurare il ripetersi di azioni analoghe, volte a creare uno Stato nello Stato.

All’esito di questo studio, con insolita sollecitudine parlamentare, viene approvata la legge del 25 gennaio 1982 n.17, intitolata “Norme di attuazione dell’art. 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento dell’associazione denominata Loggia P2”.

La legge definisce segrete le associazioni che occultano la loro esistenza o tengono segrete finalità e attività o rendono sconosciuti i soci anche tra di loro e nello stesso tempo sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali e della Pubblica Amministrazione.

La sanzione per chi organizza o dirige un’associazione di questo tipo è la reclusione fino a due anni.

Per i dipendenti pubblici e i militari che vi aderiscono è prevista la sospensione dal servizio.

Malgrado sia stata definita nel titolo legge attuativa dell’art. 18 della Costituzione, la normativa approvata chiarisce soltanto i termini del divieto di cui al secondo comma, ma non si occupa minimamente del diritto sancito dal primo comma, che tuttora resta in attesa di attuazione.

Lo scopo legislativo di abolire la loggia P2 e di prevenire la formazione di altre associazioni dello stesso tipo ha finito per colpire tutta la Massoneria italiana, rendendo ancora più difficile la sua esistenza.

Tra gli esempi più significativi:

-Alcune Amministrazioni pubbliche, in violazione del diritto fondamentale di tutti i cittadini di associarsi per fini leciti, pretendono che i dipendenti dichiarino di non appartenere alla Massoneria e li escludono da incarichi di particolare prestigio.

-Ai Magistrati è fatto espresso divieto di entrare a far parte di logge massoniche.

-Alcuni giudici hanno preteso, senza giustificato motivo, di acquisire gli elenchi di tutti i massoni, permettendo così alla Stampa di farne scempio a scopo scandalistico.

-Eclatante l’inchiesta persecutoria avviata agli inizi del 1992 da un modesto pubblico ministero di Provincia, Agostino Cordova, sulla base del semplice sospetto di collegamenti tra Massoneria e organizzazioni deviate, che portò a perquisizioni e sequestri in tutta Italia, ma finì miseramente con un decreto di archiviazione e l’annullamento degli incauti provvedimenti, sanzionati dalla Cassazione per violazione di norme del codice di procedura penale e della stessa Costituzione.

Dopo l’approvazione della legge 17/1982 in effetti la Massoneria si è dovuta costantemente difendere dall’accusa di segretezza, che l’avrebbe messa fuori legge e solo tre anni dopo si è fatta chiarezza su questa pericolosa illazione, grazie ad una sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, emessa a conclusione di un processo contro alcuni magistrati accusati di aver fatto parte attiva della loggia P2.

Questa sentenza (n.557 del 30 gennaio 1985), che non è più consultabile perché “oscurata”, nell’interpretare l’art.18 della Costituzione chiarisce anzitutto che la volontà del legislatore è stata quella di vietare le associazioni “veramente segrete”, non quelle che tengono riservati solo i particolari della loro organizzazione od attività; e aggiunge che la segretezza di per sé non è un disvalore. Ma anzi è garantita e tutelata dall’art. 15 della Costituzione, né in via di principio può riconoscersi alla segretezza un valore negativo nell’ordinamento vigente, ove si rifletta sulla tutela accordata alla riservatezza delle persone, al segreto professionale, commerciale, industriale, etc. Inoltre afferma che il divieto non involge genericamente e indistintamente tutte le associazioni segrete, la cui esistenza è compatibile con le finalità dell’ordinamento giuridico, ma interessa in maniera esclusiva quelle associazioni segrete che ispirano la propria attività alla realizzazione di scopi politicamente rilevanti i quali incidono direttamente o indirettamente sullo svolgimento delle funzioni dello Stato o degli enti pubblici.

L’aver chiarito che le associazioni che si rifanno alla Massoneria tradizionale, ovvero conforme agli scopi dichiarati fin dalle sue origini in ogni atto ufficiale (Costituzioni, Statuti, Regolamenti, Dichiarazioni), non sono associazioni segrete, non è bastato a legittimarla e a restituirle il ruolo che le è proprio, di componente liberale, laica e indipendente della Società civile.

La Massoneria italiana autentica, che non si confonde con nessun organismo deviato, che snatura la sua essenza, rivendica la sua identità e reclama a gran voce il diritto di esistere.

Dopo il tentativo, purtroppo fallito, del Comitato Economico e Sociale Europeo di istituire un modello di associazione europea, che in Italia avrebbe posto rimedio alla emarginazione di quelle associazioni che hanno tutti i requisiti per potersi definire Massoneria, l’antimassonismo non si è attenuato e prende maggior forza e vigore nelle inquietanti iniziative dei personaggi che sono attualmente alla guida del Paese.

Nella scorsa legislatura, undici deputati del Movimento Democratico Progressista avevano presentato una proposta di legge contenente il divieto di affiliazione a “logge massoniche e similari” per magistrati e militari e l’obbligo di dichiarazione di non farne parte per politici e pubblici dipendenti. La proposta non è andata mai in discussione.

Nell’attuale legislatura, sette senatori del Movimento Cinque Stelle, in data 24 aprile 2018 hanno presentato analoga proposta di legge sulla “incompatibilità con la partecipazione ad associazioni che comportano vincolo di obbedienza come richiesto da logge massoniche o associazioni similari fondate su giuramenti o vincoli di appartenenza”, nella quale si prevede una pena da 3 a 7 anni per chi le promuove, le dirige o svolge opera di proselitismo. Contro la legittima reazione di alcuni massoni, i medesimi proponenti in data 12 luglio 2018 hanno presentato un interpello al Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per sollecitare “misure urgenti” per impedire una “gravissima lesione della sovranità popolare”.

Il Movimento Cinque Stelle aveva già espresso la sua ostilità alla Massoneria nel vietare la candidatura di massoni alle elezioni politiche del 4 marzo 2018.

Chiamato a formare il governo con la Lega, ha inserito nel documento programmatico un codice etico nel quale si dichiara che non possono entrare a far parte del governo soggetti che abbiano riportato condanne penali o che appartengano alla Massoneria.

Queste iniziative non richiedono particolari commenti. La lezione del 1925 ci insegna che quando si colpisce la Massoneria la democrazia è in pericolo. Ma i massoni italiani, forti dei loro principi e della solidarietà di tutti i Fratelli che condividono i loro ideali, non si arrenderanno, pronti a battersi in difesa dei sacri valori della libertà e del pensiero laico.

Sergio Ciannella

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